Four Pitons and a Wealth of Solitude

Cima di Valbona (3033 m), Spigolo Gervasutti - 16 and 17/Aug/2012
photos by Donato Erba (D.E.) and me 
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Rhododendrons and colors, and the bulk of the north of Disgrazia observing us impassively. It slips into the night and then slowly reappears out of the darkness.
Solitude.
Walking all day in a surreal landscape, among suspended lakes on polished rocks overlooking large curved abysses. The sunrise sparkles and the melting water flows down to form rivers that do not exist, to write water phrases on granite.
An overturned keel that sails on the border between Italy and Switzerland, silhouetted against the sky like a forgotten sculpture.
A strange planet, abandoned by the ice that has left its stories written everywhere.

A classic route that almost no one knows, almost no one repeats.
Dihedrals, cracks, abseils into the void.
Four pitons.
Only four old pitons along a fourteen-length route. A great edge. A route that is an idea, nothing really traced on the rock. You know it’s there, but you have to find it.
The true sense of mountaineering. (For me, at least).
Virgin, intact rock, where someone has passed and told his adventure so that others could relive it.
And then descend among large unstable boulders, similar to refrigerators and washing machines badly stacked on top of each other. And see them roll down among echoes of their roars.
Taking home, as always, sensations.

Quattro chiodi e tanta solitudine

Rododendri e colori e la mole della nord del Disgrazia a osservarci impassibile. Scivola nella notte e poi riappare piano piano fuori dal buio.
Solitudine.
Camminare tutto il giorno in un paesaggio surreale, tra laghi sospesi su rocce levigate affacciate su grandi baratri curvi. Il sole dell’alba scintilla e l’acqua di fusione scorre giù a formare fiumi che non esistono, a scrivere frasi d’acqua sul granito.
Una carena rovesciata che naviga sul confine tra Italia e Svizzera, stagliata contro il cielo come una scultura dimenticata.
Un pianeta strano, abbandonato dai ghiacci che hanno lasciato iscritte ovunque le proprie storie.
Una via classica che quasi nessuno conosce, quasi nessuno ripete.
Diedri, fessure, calate nel vuoto.
Quattro chiodi.
Solo quattro vecchi chiodi lungo una via di quattordici lunghezze. Un grande spigolo. Una via che è un’idea, nulla di davvero tracciato sulla roccia. Sai che c’è, ma devi trovarla.
Il vero senso dell’alpinismo. (Per me, quantomeno).
Roccia vergine, intatta, dove qualcuno è passato e ha raccontato la sua avventura perché altri potessero riviverla.
E poi scendere tra grandi massi instabili, simili a frigoriferi a lavatrici male ammassati gli uni sugli altri. E vederli rotolare giù tra le eco dei boati.
Portandosi a casa, come sempre, sensazioni.